giovedì, Novembre 21, 2024
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Atlas Coelestis di John Flamsteed

John Flamsteed (Denby, 1646 – Greenwich, 1719) astronomo inglese. Fu il promotore della costruzione dell’Osservatorio di Greenwich, di cui divenne il primo direttore.

di Pietro Musilli

L’opera ebbe una notevole fortuna e fu ristampata più volte: questa edizione del 1987 è la fedele riproduzione di un originale del 1753, messo a disposizione dal Professor Guido Chincarini dell’Osservatorio di Brera-Merate. La tiratura, inizialmente  prevista in sole cinquecento copie numerate, si è fermata all’ottantesima.  E’ stato  curato in particolare l’aspetto artigianale, a partire dalla stampa eseguita al torchio manuale fino alla rilegatura effettuata a mano con materiali naturali. Alcune delle copie esistenti sono state colorate a mano da importanti artisti. 

Questo famoso atlante è  introdotto da una prefazione a cura di Margaret Flamsteed e di James Hodgson che traccia una breve storia della cartografia celeste a partire da Ipparco di Nicea ed Aristarco di Samo, presentando i vantaggi dell’opera di Flamsteed e le sue innovazioni, in particolare l’uso della tecnica della proiezione sinusoidale messa a punto soltanto qualche anno prima da Sanson d’Abbeville, geografo di Luigi XIV; riprende la polemica con Hevelius circa la rappresentazione esterna al globo delle stelle, soffermandosi non poco a sottolineare come nell’Atlas Coelestis siano stati ripristinati dei criteri che diano continuità alla tradizione classica greca.

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L’Atlas coelestis è l’atlante che ha esercitato la maggiore influenza sulla cartografia settecentesca e può essere considerato il primo atlante moderno. E’ stata la prima carta stellare basata sull’osservazione compiuta tramite il telescopio. Esso è stato pubblicato nel 1729 dalla vedova di Flamsteed dieci anni dopo la morte del marito, assistita da Joseph Crosthwait e Abraham Sharp.

La pubblicazione ha avuto immediato successo, diventando il riferimento standard per gli astronomi professionisti per quasi un secolo. Anche così, gli sono state sollevate tre obiezioni in merito: il prezzo all’epoca elevatissimo e il grande formato che lo rendeva difficile da utilizzare.

Tuttavia, questo atlante di fatto non è mai stato pubblicato ufficialmente e ad oggi ci sono solo 16 copie conosciute della I edizione.

Il catalogo è stato compilato con una accuratezza senza precedenti e fu oggetto di varie ristampe e riedizioni sino al 1987. A differenza delle figure barocche di Coronelli le figure dell’atlante di Flamsteed rivelano uno stile rococò, che fu curato da James Thornhill. L’atlante di Flamsteed rappresenta in dettaglio, per mezzo di 26 grandi tavole, il cielo visibile per un osservatore europeo e contiene anche due planisferi, opera di Abraham Sharp, che raffigurano integralmente la volta celeste.

Questo atlante riporta 3.300 stelle, il doppio di quello dell’Hevelius e per la prima volta le stelle vi vengono collocate attraverso le loro coordinate equatoriali: ascensione retta e declinazione, il cui reticolo viene sovrapposto nelle tavole a quello polare eclittico. Questa innovazione fu possibile attraverso l’introduzione nell’osservazione dell’orologio a pendolo, che permetteva di risalire alla differenza di ascensione retta partendo dalla differenza fra i tempi del passaggio delle stelle al meridiano.  Un secolo prima il Bayer inseriva nel suo atlante le due Nubi di Magellano; ora Flamsteed, nella tavola dedicata ad Andromeda, alla destra di nu Andromedae, disegna una stellina, la galassia M31, il primo oggetto non stellare ad apparire in una carta celeste di un importante atlante.

Una delle motivazioni principali di Flamsteed nel produrre l’Atlante era quello di correggere la rappresentazione delle figure delle costellazioni, come fatto da Johann Bayer nel suo “Uranometria” (1603). Bayer rappresentava le figure viste da dietro (non dalla parte anteriore, come era stato fatto fin dai tempi di Tolomeo), e questo aveva invertito la posizione delle stelle e aveva creato una confusione non necessaria.

Alla fine i cambiamenti nelle posizioni delle stelle (osservazioni originali erano state fatte nel 1690), hanno portato ad un aggiornamento compiuto nel 1770 dall’ingegnere francese Nicolas Fortin, sotto la supervisione degli astronomi Le Monnier e Messier dell’Accademia Reale delle Scienze a Parigi. La nuova versione, denominata Atlas Fortin-Flamsteed, aveva un terzo delle dimensioni di quella originale, ma conserva la medesima struttura della tabella. A ciò è stata aggiunta anche qualche ritocco artistico alle illustrazioni, per lo più Andromeda, Vergine ed Acquario). I nomi delle costellazioni sono in francese (non in latino) e includono alcune nebulose scoperte dopo la morte di Flamsteed.

Nel 1795 è stata pubblicata una versione aggiornata, prodotto da Méchain e Lalande, con nuove costellazioni e molte nebulose in più.      [Tratto da a Wikipedia, e da altri importanti  siti web]

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I due emisferi sono costruiti in proiezione polare equatoriale stereografica. Quello boreale in visione convessa e quello australe in visione concava. Misurano, comprensivi di scala equatoriale graduata, 52 centimetri di diametro. Il reticolo di riferimento è quello polare equatoriale, comprende i poli, circoli di declinazioni ogni 10° numerati da 10 a 90 ai quali vanno aggiunti, non numerati, quelli che indicano i 65°, 75°, 85°, i coluri provvisti su di un semidiametro di una scala graduata al passo di 15’ di declinazione, il cerchio dell’equatore con scala graduata ad ore di A. R. dove questa può essere letta con la notevole precisione di 40’’. Il reticolo eclittico comprende i relativi poli, circoli di latitudine ogni 10°, linee di longitudine ogni 10°. Sulla porzione di eclittica presente nei due emisferi è posta una scala graduata al passo di un grado di longitudine e numerati ogni 10. Le stelle, identificate secondo il metodo di Bayer, sono posizionate per il 1729 e finemente suddivise in otto magnitudini tra le quali è possibile apprezzare ulteriori suddivisioni. Oltre alle costellazioni tolemaiche troviamo: nell’emisfero boreale Comae Berenices, Musca, Monoceros, Camelopardalus, Antinous (privo però del disegno mitologico) e le otto ideate da Hevelius. Nell’emisfero australe Columba Noachi, Antinous, Scutum, Robur Carolinum, le 12 segnalate da Keyser & Houtman ed infine Crux (senza nome, solo il disegno). Presso il Polus Eclipticae è ben evidenziato il disegno della Grande Nube di Magellano. Le 25 tavole dell’Atlas, impreziosite da bellissime raffigurazioni delle costellazioni, presentano oltre 3.300 stelle per il 1690. Le stelle sono divise per la prima volta in sette magnitudini con indicazione delle coordinate equatoriali. La tavola 2 mostra la costellazione del Toro. Le ultime due tavole, la XXVI e la XXVII, di scala diversa e disegnate da un’altra mano, sintetizzano la volta boreale e quella australe rappresentandole  fino all’equatore.  La precisione delle posizioni degli astri è corretta entro il margine di 10″ e ciò fu ottenuto dall’autore grazie all’utilizzo di un enorme cerchio murale, munito di cannocchiale, di due metri di raggio, i cui gradi riportavano suddivisioni di cinque minuti primi. Agevole diventa l’uso delle tavole che, riportando delle scale graduate le cui tacche misurano il quarto di grado, permettono di apprezzare subito ad occhio la posizione della stella.

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