giovedì, Novembre 21, 2024
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Paleonutrizione

Un gruppo di ricercatrici ha condotto un’interessante ricerca paleonutrizionale che ha dimostrato che le donne, già 30.000 anni fa, erano in grado di produrre farine, raccogliendo e macinando piante selvatiche di cui si utilizzava tutto, dalle radici/rizomi ai fusti, alle foglie e ai fiori.

La prestigiosa rivista scientifica statunitense PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences) pubblica i risultati di questo studio nell’articolo intitolato “Thirty thousand-year-old evidence of plant food processing” dedicato allo studio di macine e macinelli rinvenuti in diversi siti europei e risalenti a quando il nostro continente era frequentato dai primi Homo sapiens. La scoperta conferma quanto finora era solo ipotizzato, e cioè che nella dieta di Homo sapiens i carboidrati complessi, introdotti nella dieta grazie alla produzione di farina, avevano un ruolo determinante nell’economia e nella dieta.

Nei siti preistorici di Bilancino (Mugello, Toscana), Pavlov VI (Moravia, Repubblica Ceca) e Kostienki 16 (Valle del Don, Russia) sono stati ritrovati pestelli e macine che dimostrano che i nostri progenitori del Paleolitico superiore – in un periodo databile a circa 30.000 anni fa – avevano già imparato a trasformare, elaborare e consumare prodotti derivati dalla raccolta dei vegetali selvatici.

Lo sviluppo di una tecnologia per la produzione delle farine ha certamente comportato un cambio di rotta radicale nell’economia e nella gestione della vita quotidiana. La produzione di un alimento altamente energetico svincolava il gruppo da un territorio e gli permetteva una maggiore mobilità: vantaggio considerevole in un periodo caratterizzato da climi molto rigidi. La rivoluzionaria scoperta si deve probabilmente alle donne, da sempre depositarie del ruolo fondamentale di crescere e prendersi cura della prole e del benessere del gruppo. Nelle fredde praterie che ricoprivano l’Europa durante la fase di peggioramento climatico (registrato anche nei sedimenti marini dello stadio isotopico OIS 3) precedente all’acme dell’ultima glaciazione, dati archeologici e confronti etnografici portano a supporre che i gruppi di cacciatori e raccoglitori fossero composti da un massimo di 20 maschi adulti (a cui vanno aggiunti donne, bambini e anziani) i quali potevano sostentarsi per giorni grazie alla caccia di un grosso erbivoro come ed esempio un bisonte. Ma non sempre i grossi erbivori erano disponibili e quindi un gruppo così composto, per il sostentamento contava in modo equilibrato sia sulla caccia dei piccoli come dei grandi mammiferi ma anche sulla raccolta dei vegetali.

Una delle caratteristiche che rendono l’uomo e la sua socialità molto speciali è basato sul concetto, profondamente radicato, della condivisione del cibo. La raccolta dei vegetali e la loro condivisione è sicuramente legata al ruolo delle donne nelle società primitive, le quali quindi contribuivano in modo equivalente alla sussistenza del gruppo.
Ma lo studio sulla produzione sistematica di farine dimostra anche un’altra ipotesi a lungo sostenuta ma finora senza documentazione scientifica. La capacità non solo di produrre cibo, o materie prime da trasformare successivamente, ma di conservarlo, trasportarlo e utilizzarlo successivamente e magari in luoghi diversi da quelli di produzione, assicura la sopravvivenza del gruppo, soprattutto quando i proventi della caccia sono deludenti, per limiti dovuti alla stagionalità o ai comportamenti delle prede.
Nel sito di Bilancino (Mugello, Toscana), le archeologhe Anna Revedin e Biancamaria Aranguren, dopo aver rinvenuto due strani pezzi di arenaria hanno messo in piedi un primo gruppo di ricerca formato da specialiste di analisi funzionale e di archeobotanica per dimostrare la sistematica macinazione di vegetali fin da un’epoca così antica.
Gli studi di analisi funzionale vengono condotti da Laura Longo, paleoantropologa già nota per essere la ricercatrice responsabile del progetto “Fossili Umani Veronesi” che ha innescato gli studi sull’unico neandertaliano italiano di cui si conosca il DNA e la datazione diretta.
Longo è una specialista di analisi delle tracce d’uso e allo studio delle macine gravettiane applica – per la prima volta – una nuova tecnica di osservazione grazie ad un nuovissimo microscopio digitale, HIROX HK 7700, messo a disposizione dall’Università di Siena.
Le analisi di archeobotanica sono affidate a Marta Mariotti, professore associato dell’Università di Firenze, che ha individuato i granuli di amido, costruito un data base di riferimento e identificato quelli estratti dalle porzioni funzionalmente attive di macina e pestelli con amidi di tifa (gli ambienti palustri, come quelli attorno agli accampamenti preistorici in studio, sono ricchi di tifa una pianta ben nota in America e Australia per le sue proprietà alimentari).
I dati ottenuti dagli studi archeobotanici dimostrano che già 30.000 anni i rizomi di tifa venivano macinati per produrre farine peraltro estremamente “healthy” cioè ricche di fibre e di carboidrati complessi, ma prive di glutine. La ricerca ha inoltre dimostrato che le farine venivano mescolate con l’acqua e cucinate in modo da rendere i carboidrati complessi atti ad essere digeriti.
L’uso delle fibre e l’abilita’ tecnica necessaria per la produzione di farina e la loro 

manipolazione per farne cibo, quindi, non risalirebbero all’agricoltura del Neolitico, ma erano una conoscenza già acquisita in Europa da diverso tempo.
Le donne conoscevano il territorio molto bene, grazie al fatto che la strategia di gestione del gruppo prevedeva per loro un areale più limitato, che ruotava attorno al campo base. Ma questa alla fine si è dimostrata LA strategia vincente: la produzione di cibo altamente energetico, facilmente trasportabile e conservabile per i momenti più difficili (soprattutto quando i proventi della caccia sono deludenti) assicura la sopravvivenza del gruppo.
Quando questa pratica, tipicamente femminile, diventa strategia sistematica, allora sì, ecco la vera rivoluzione, l’umanità si svincola dalla necessità energetica: la produce, la trasforma e la conserva. E non dimentichiamo che alla base della nascita dell’agricoltura due sono i requisiti fondamentali: la presenza nell’ambiente di specie vegetali domesticabili ricche di nutrienti e la tecnologia necessaria per il loro trattamento. Ora sappiamo che le donne di 30.000 anni fa in Europa avevano già inventato la tecnologia per utilizzare le risorse vegetali. Per il resto la storia del Mediterraneo ha fatto il suo corso a partire dal Vicino Oriente, dove crescevano spontaneamente molti dei cereali ancora oggi utilizzati, anche se, come è noto, il fenomeno dell’origine dell’agricoltura è policentrico, essendosi verificato nei vari continenti in tempi diversi, e con la coltivazione di specie diverse di cerali (riso, miglio, mais…)

Anche per questi risvolti di complessità del comportamento la ricerca coordinata da Anna Revedin, dell’Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria, è da considerarsi fondamentale. E chissà che il proseguo di queste ricerche non possa contribuire agli studi dei disturbi del metabolismo alimentare oggi riscontrabili in una percentuale significativa della popolazione dei paesi industrializzati. Un esempio concreto di come la ricerca di base (e in particolare quella archeologica, che viene spesso considerata un inutile costo) sia importante perché prodromo a futuri sviluppi e implicazioni anche di applicazione pratica e di miglioramento delle condizioni di vita di oggi.

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