Ecco che cosa mangeranno gli astronauti
veramente da non perdere
In modo quasi naturale si pensa spesso all’esplorazione spaziale come alle imprese dei grandi navigatori che ci hanno consentito di prendere coscienza del nostro pianeta, da Cristoforo Colombo ad Amerigo Vespucci, a Ferdinando Magellano, a James Cook e a tanti altri i cui nomi popolano le carte geografiche indicando anche i passaggi più strategici e rischiosi per le navi che solcano gli oceani. La spaceship, astronave, l’analogia è anche linguistica, è il nuovo “mezzo” e gli astronauti, all’inizio scelti fra i migliori piloti militari, sono e soprattutto saranno i nuovi “marinai”.
L’idea della nave come strumento e via di esplorazione, come mezzo per conoscere, trovare e quindi tornare, come Ulisse, portando sempre con sé una parte del proprio mondo, la nave. E come sanno tutti i marinai, è strategico e fondamentale imparare a “fare cambusa”, provvedersi delle scorte di acqua e cibo e, nel caso, organizzarsi per produrlo o trovarlo durante il viaggio.
Agli inizi, la cambusa dei nuovi marinai era drammaticamente “arida”: certo tutto quello che serviva, come acqua, macro e micronutrienti, ma tutto trasformato e ridotto ad un’”idea” un po’ astratta ed asettica di cibo. Dopo il primo volo di John Glenn nel 1962 accompagnato da un tubetto di purea di carne e vegetali, la cambusa di Neil Armstrong e Buzz Aldrin sulla scialuppa del Lunar Module Eagle all’allunaggio comprendeva un sistema di idratazione con acqua calda o fredda di cibo disidratato e confezionato in buste.
Tra i vari alimenti anche un cocktail di gamberetti, che erano stati accuratamente scelti per poter essere risucchiati. Michael Collins, rimasto in orbita nel Command Module, così come gli altri durante il viaggio, aveva una specie di valigetta con tutto il necessario supporto nutrizionale, deciso con mesi di anticipo e, appunto, ridotto a buste di cibo mangiabile con un cucchiaino.
Oggi, a più di mezzo secolo di distanza, l’International Space Station “fa cambusa” periodicamente grazie alle navette Soyuz e ai vettori spaziali di Space X che la riforniscono di tutto ciò che serve alla sopravvivenza di sei astronauti/marinai.
La qualità del cibo è enormemente migliorata, si è imparato ad ottenere un caffè in condizioni di microgravità ed abbiamo visto meravigliose pizze preparate e gustate in orbita, con la salsa di pomodoro che funziona come “collante” per evitare che acciughe e olive fluttuino libere, e si è iniziato a studiare come sarebbe possibile sviluppare serre per produrre ciò che servirebbe per soggiorni più lunghi nello spazio.
Il futuro, infatti, è nelle visioni associate a programmi come ARTEMIS, tornare sulla Luna per restarci (almeno per 3-6 mesi), o cominciare a pensare ed organizzare missioni necessariamente di lunga durata su Marte (almeno 2 anni sul pianeta rosso). Ed in questo caso “fare cambusa” diventa molto più complicato se non impossibile a meno che ci sia un sistema di produzione di cibo direttamente in situ. Per missioni di tale durata nello spazio sarà fondamentale avere una qualità della vita e una possibilità di riconnessione con il nostro habitat naturale, la Terra, molto superiore a quella attuale e il cibo ne è un elemento fondamentale.
Ed è con questa idea di riconnessione che si studiano serre di diversa tecnologia (idroponiche, aeroponiche , acquaponiche) installabili ad esempio sul suolo marziano, ponendo attenzione non solo agli aspetti funzionali ma anche alla fruizione come ambienti in cui ci sia la possibilità di ritrovare un micro-habitat terrestre. E, a partire dai prodotti di queste serre, organizzare spazi e soluzioni tecnologiche in cui si possano elaborare cibi anche complessi, che mantengano le esigenze nutrizionali di una dieta alimentare rigorosa ma al tempo stesso consentano agli astronauti di colmare il gap anche e soprattutto psicologico di un’incredibile lontananza dal porto di partenza.
Sono queste le idee guida che hanno portato due aziende leader nei rispettivi settori, il Pastificio Rana per la produzione di pasta fresca e ripiena e Coesia per la realizzazione di macchine automatiche e packaging, a concepire il progetto “Space Meal Solution”. Il concept nasce dall’esigenza di combinare una dieta mediterranea per quattro astronauti, rispettando i micro e macronutrienti per circa 3.000 calorie giornaliere, con la necessità di ridurre al minimo il consumo di risorse (energia, meno di 3 kW, e acqua), il tempo di preparazione dei cibi (4 ore al massimo alla settimana come previsto dalla rigorosa programmazione delle attività e della vita degli astronauti in missione) e la difficoltà nel cucinare alimenti anche elaborati in uno spazio molto ristretto di circa 4 metri quadrati. Il design si sviluppa in un modulo di cucina ingegnerizzata, Engineered Space Kitchen, il più possibile smart in termini di interazione con gli utenti grazie ad un’app.
L’app consente agli astronauti di produrre menu bisettimanali personalizzati, bilanciati, in funzione degli alimenti resi disponibili dalle serre, creando il giusto feeling con il cibo e i gusti di ciascuno; li accompagna anche nella preparazione grazie all’interazione con la cucina automatizzata, rendendo ogni astronauta uno space chef! La riconnessione con un ambiente confortevole per gli astronauti passa attraverso l’uso di strumenti “convenzionali” anche se completamente riprogettati come un Multi-Use Hood System per processare e cuocere gli alimenti, una Pasta Tower per elaborare pasta e produrre anche ravioli, e fornetti “ohmici” per la pastorizzazione e la cottura.
È probabile che queste visioni siano in anticipo sui tempi, tuttavia ci consentono anche di comprendere i limiti dell’uso delle risorse e della sostenibilità dei processi di produzione e trasformazione del cibo sulla Terra e rappresentano un segnale importante di democratizzazione dell’accesso allo spazio, nell’ottica di alleviare le difficilissime condizioni operative a cui i nostri astronauti/marinai sono ad ora avvezzi ed obbligati. Non saremo mai abbastanza riconoscenti alle ormai centinaia di piloti, scienziati, tecnici che si sono messi in gioco davvero for all humankind, non mi stancherò mai di ricordarlo.