giovedì, Novembre 21, 2024
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TazebAu ▪ Testi critici sulla trattazione del denaro nell’opera di Paolo Monti

Fino al nulla    

di Massimo Carboni
Docente di Estetica alla Facoltà di Beni Artistici e Culturali dell’Università della Tuscia di Viterbo e all’Accademia di Belle Arti di Firenze.

PAOLO MONTI, DOLLAR IMAGE, 1989 detail
La pratica artistica è un’anomalia organizzata. E disciplinata in linguaggio. Al di fuori di questo, ci sono solo le chiacchiere sulla “creatività”. Il lavoro di Paolo Monti gira costantemente -e ormai da tempo- attorno a questa evidenza e a questa consapevolezza, attraverso il filtro (e il codice) di una strumentazione che va dalla più prosaica manualità fino alla più sofisticata apparecchiatura scientifico-tecnologica. Forse è proprio per questo che esso si propone come fulcro catalizzatore (o dispersore?) di una serie di riferimenti, problematiche e questioni spartite su due versanti operativi e concettuali strettamente interconnessi.

Da un lato, il lavoro sul danaro, dunque sul feticismo del Valore: desiderio non della cosa, ma del desiderio stesso. Vertigine dell’astrazione più completa, della virtualità più disincarnata e nello stesso tempo più fattualmente operante che possa darsi. Ed il percorso teorico-concettuale va da Marx a Simmel. Monti prende dunque ad oggetto, concettualmente e materialmente, il danaro: figura dello stesso e insieme dell’altro, vertigine del Valore, mitologia del Mito.

Ma quali sono gli elementi messi in gioco?

<<Il valore di scambio della merce, in quanto esistenza particolare accanto alla merce stessa>>, scrive Marx nei Grundrisse, <<è denaro; è la forma in cui tutte le merci si equivalgono, si confrontano, si misurano; è ciò in cui tutte le merci si dissolvono, ciò che si dissolve in tutte le merci>>. Il lavoro di Paolo Monti sembra essere allo stesso tempo la parafrasi ed il rovesciamento letterali della tesi marxiana. Il denaro non è infatti assunto come forma o mezzo e quindi come equivalente generale, ma come materia sottoposta ad un processo di deperibilità: si dissolve non nella merce, ma in se stesso. Il segno astratto regredisce a dato concreto, fisico, a presenza (temporanea). Il denaro non è per sua natura una merce dotata di valore intrinseco, la sua qualità consiste esclusivamente nella sua quantità. Monti materializza il valore astratto, il fantasma; rovescia il processo che porta all’esclusione della merce assunta come danaro e quindi al costituirsi dell’equivalente generale, riconducendolo alla sua condizione iniziale di materia-oggetto con un suo estremo, residuo valore d’uso. In un tempo x, la banconota aggredita dagli acidi si dissolverà, non ne resterà più alcuna traccia. “Il tempo è danaro”, si dice. Qui è il danaro che è tempo. Fino alla totale entropia, fino al consumo finale, fino al nulla.

PAOLO MONTI, FLOTTAGE 1996
Dall’altro lato, c’è il versante del lavoro di Monti più esplicitamente aderente a procedure scientifico-epistemologiche, concentrato su una dimensione ipertecnologica e radicato fondamentalmente nei principi della percezione sensibile e negli interrogativi da essa sollevati intorno ai rapporti tra soggetto e oggetto, identità e alterità. Che poi l’ “oggetto” sia in realtà un mondo, un orizzonte di senso, e che dunque prenda vita un’esperienza etica, è altro discorso. Fatto sta che è l’Altro che ci costituisce; senza dimenticare che ovviamente noi stessi siamo altri per gli altri. Senza tale distanza non può originarsi alcuna prossimità.

Tutte queste cose sono note. Qui vengono richiamate in termini molto sintetici soltanto perch?hanno a che fare -forse più di quanto a prima vista non potrebbe apparire- con il lavoro più sofisticatamente tecnologico di Paolo Monti. I temi sono appunto quelli tra identità e alterità, tra soggetto ed oggetto: con i loro reciproci scambi e slittamenti, con i labirinti cognitivi che li legano l’un l’altro. Una pratica interattiva dove è lo spettatore che fa sì che l’opera in quanto tale si manifesti.

Nel lavoro di Paolo Monti certamente si dà, si offre, il “meraviglioso”, il thaumazein (iper) tecnologico: a vari livelli di potenza e di seduzione, ma indubitabilmente si dà. Il fatto è che i processi tecnologici (su base fisica o chimica) sono semplicemente mostrati, senza nessuna elaborazione particolarmente intrusiva da parte dell’artista. Monti non è alla ricerca del lato “immaginativo”, “estetico” della Tecnica; non v’è in lui alcuna patetica pretesa ideologica di “riscattare” umanisticamente la Tecnica fornendole “poesia” o “creatività”. Qui la tecnologia è utilizzata in modo che essa produca autonomamente, spontaneamente il proprio thaumazein. Ma perch?ciò accada, bisogna -con memoria duchampiana- “metterla in posizione”. E questo solo un artista può farlo.

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Estratto da: “ Fino al nulla ” di Massimo Carboni, in  Paolo Monti ( Musis, 1998),
presente nella raccolta di testi prodotti per la personale di Paolo Monti,
Vierdimensional², Konstanz (D), 2001.

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Ascolta l’audio del intervento di Massimo Carboni all’convegno – Infra-TazebAu s’pace 2011, Paolo Monti + Gauss – “Partenza bruciante. L’arte infravista dall’alto”.

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