By Clamary
La teoria della complessità nasce e si sviluppa in ambito scientifico nel secolo scorso. Quando usiamo il termine “complessità” immaginiamo subito qualcosa di ingarbugliato e di difficile soluzione, qualcosa insomma che dobbiamo, se non temere, quanto meno considerare che occorrerà del tempo e molto impegno per la sua osservazione o risoluzione. Parliamo infatti di problema complesso, di situazione complessa, di rapporti complessi.
Ma, se si cerca l’etimologia di questa parola, si scopre che ‘complessità’ deriva dal latino «complexus» ovvero abbraccio, legame affettuoso, nesso.
Il significato del termine «complicato» esprime, invece, mancanza di semplicità e di facilità di risoluzione. Quindi complesso e complicato non sono sinonimi anche se si tende facilmente a considerarli tali nel linguaggio comune.
Come si è giunti ad introdurre il termine complessità in ambito scientifico?
Seguendo l’analisi del filosofo Edgar Morin, la scienza classica si basa su quattro pilastri: ordine, separazione, riduzione, logica aristotelica.
Tale metodologia, per lungo tempo, ha permesso alle discipline scientifiche di muoversi seguendo questi principi e di raggiungere risultati inimmaginabili ma, nel contempo, ha portato ad una semplificazione ingenua ed a perdere di vista le implicazioni relative all’ambiente ed all’uomo sia in ambito sociale che culturale. Ad esempio nella medicina si è perduta la visione unitaria sia organica che psicologica dell’essere umano; nella tecnologia siamo stati in grado di costruire grandi infrastrutture, complessi industriali, automobili, aerei, senza tenere conto però delle conseguenze e delle nefaste ricadute sull’ambiente e sulle persone; in economia sono state elaborate teorie e sono state operate scelte che hanno favorito prevalentemente grandi lobbies di potere economico attraverso speculazioni, poiché il vantaggio a breve termine ha finito per prevalere rendendo troppo costose e non economicamente vantaggiose le scelte fatte. Un esempio ci viene dal settore agricolo e forestale dove abbiamo assistito ad uno spopolamento delle campagne seguito dallo sfruttamento intensivo di grandi estensioni di terreno, ad un uso massiccio di pesticidi e di fertilizzanti chimici ed ad una deforestazione incontrollata con pesanti conseguenze sia per l’aumento della CO2 che per il conseguente dissesto idrogeologico a causa del mancato drenaggio del territorio. In sintesi in ogni settore si è proposto ed applicato il risultato di una visione riduzionista a scapito di una visione d’insieme. «Si è creduto infatti, facendo delle pericolose analogie, che le verità oggettive raggiunte in ambito fisico e matematico, grazie al metodo galileiano-cartesiano, potessero essere raggiunte anche in altri ambiti del sapere. Ciò ha comportato dei processi di cristallizzazione della mente in nome di verità ritenute definitive. Proprio in conseguenza di ciò la razionalità occidentale ha favorito un pericoloso processo di inconsapevole trasformazione della ragione in mito; il mito di se stessa» (dall’introduzione a «La sfida della complessità» di E: Morin pag. 13).
I sassi nello stagno
Anche se lentamente, il paradigma sta cambiando. Già da tempo assistiamo ad una collaborazione fra le varie discipline e ciò sta a significare che, sempre di più, si sta prendendo coscienza che il pianeta che ci ospita presenta aspetti complessi.
Sta crescendo la consapevolezza che la complessità, che scopriamo essere alla base di ogni sistema vivente e non vivente, impone di abbandonare la visione riduzionista e lineare a favore di una visione sistemica. Ciò che ha portato a questo più idoneo nuovo modo di approcciarsi alla realtà dei fenomeni è stato il frutto di un lungo cammino percorso da scienziati che hanno avuto l’audacia di proporre e poi di dimostrare le loro teorie, ottenendo solide prove attraverso l’uso e l’applicazione di nuove tecnologie e nuovi saperi.
Alcune delle ricerche che hanno maggiormente favorito il passaggio verso la formalizzazione della teoria della complessità possono riassumersi nei seguenti esempi:
in biologia
la biologia ha segnato il passaggio dalla fissità al dinamismo.
JB Lamarck, nella sua osservazione sugli organismi viventi nel 1809, vide un processo di modificazione graduale che avveniva sotto la pressione delle condizioni ambientali. Nella sua interpretazione i caratteri acquisiti venivano trasmessi da individuo ad individuo. Il lamarkismo, oggi parzialmente rivalutato dalla sistemica teoria dell’ epigenetica, passò presto in secondo piano offuscato dalle teorie presentate da C. Darwin. Lo scienziato biologo naturalista abbatté definitivamente il concetto di fissità delle specie ed individuò in due punti principali l’evoluzione degli esseri viventi: a) individui più adatti all’ambiente hanno la possibilità di sopravvivere e procreare maggiormente rispetto agli individui inadatti diventando pertanto più numerosi e quindi «vincenti»; b) le mutazioni genetiche che avvengono casualmente favoriscono quelle variazioni che portano gli individui ad avere caratteristiche che danno la possibilità di avere un vantaggio adattativo con ricaduta, anche in questo caso, in termini di sopravvivenza e riproduzione. Oggi, pur rimanendo immutate le basi del darwinismo, grazie al progredire degli studi sulla genetica, si è affermato il neo-darwinimo secondo cui l’evoluzione consiste principalmente in cambiamenti della frequenza degli alleli (totalità delle informazioni genetiche che caratterizzano un gene) tra una generazione e l’altra, a seguito: a) della deriva genetica (evoluzione dovuta a fattori casuali), b) del flusso genico (diffusione dei geni fra popolazioni), c) della selezione naturale.
Alcuni anni fa l’evoluzione umana veniva rappresentata dall’iconica immagine che mostrava il progressivo passaggio dalla scimmia all’uomo come un percorso lineare e graduale nel tempo. Oggi, grazie a nuove scoperte e tecniche di indagine, è stata sostituita da una struttura a cespuglio, una rete complessa. Nel 1972 il biologo S.J. Gould, assieme a N. Eldredge, affermò che nell’evoluzione delle specie esistono punti critici in cui si presentano cambiamenti improvvisi seguiti da lunghi periodi di stasi. Il modello di Gould, che si discostava dal gradualismo darwiniano, fu definito ‘teoria degli equilibri punteggiati’ in cui si cominciava ad intravedere la complessità.
nella fisica delle particelle
Incertezza
Nei primi decenni del secolo scorso un’altra disciplina scientifica cominciava ad ipotizzare e poi a formalizzare alcuni principi che avrebbero sconvolto molte certezze nel campo della Fisica. Si tratta dello studio e della ricerca sulle particelle elementari denominata meccanica quantistica, e, per quanto è di interesse in questo contesto, del principio di indeterminazione di Heisemberg, del teorema di Bell e dell’entanglement quantistico.
Il principio di indeterminazione, enunciato nel 1927 da Werner Karl Heisenberg e confermato da innumerevoli esperimenti, afferma che non è possibile misurare contemporaneamente e con esattezza le proprietà che definiscono lo stato di una particella elementare. Se ad esempio potessimo determinare con precisione assoluta la posizione, ci troveremmo ad avere massima incertezza sulla sua velocità. L’ombra dell’incertezza cominciò così a fare capolino in una scienza dura come la fisica e di lì a poco sarebbe entrata a far parte della fisica quantistica conducendo ad innumerevoli ricadute anche nell’epistemologia ed in altre discipline scientifiche ed umanistiche. L’infinitamente piccolo eludeva le certezze sulle quali si era basata la scienza e la sovrapposizione di stati nei quali si può trovare la particella apriva scenari ed ipotesi nelle quali entrava in gioco un altro fondamentale elemento, l’osservatore, e, in alcune ardite interpretazioni, la coscienza. Lo studio della coscienza è ancora oggi un difficile problema, poiché il concetto stesso è discusso e discutibile; si dovrebbe dimostrare che è un epifenomeno del cervello e dell’attività cerebrale o che rappresenta l’ informazione immateriale a cui ogni vivente attingerebbe. Con l’avvento della fisica quantistica quindi l’incertezza entrò di prepotenza nella scienza come un elemento da prendere in seria considerazione. La categoria dell’incertezza permea, infatti, la visione scientifica moderna, e coinvolge in particolare proprio quelle scienze che, solitamente, venivano definite “esatte”.
Non località
Nel 1964, il fisico John Stewart Bell enunciò un teorema che prese il suo nome, introducendo così il concetto di non località. Per comprendere la portata di questo teorema è necessario definire il suo contrario, ovvero il principio di località, in cui si afferma che due oggetti distanti non possono influenzarsi reciprocamente. Bell dimostrò che due particelle entangled, che cioè hanno interagito, sono correlate quale che sia la distanza che le separa. Il suo teorema non ebbe vita facile anche perché lo stesso Einstein, determinista, si oppose a questa visione della realtà, pubblicando assieme agli scienziati Podolsky e Rosen un famoso articolo che viene ancora definito ‘paradosso EPR’ nel quale si evidenziava l’incompletezza della teoria quantistica perché portava alla inevitabile conseguenza del fenomeno teorizzato da Bell.
Einstein sintetizzò la sua critica alla incertezza ed alla non località insite nella teoria quantistica con la frase «Dio non gioca a dadi».
Oggi una serie di esperimenti hanno confermato l’ esistenza dell’ entanglement: due particelle che sono state connesse ed hanno interagito sono correlate ed intrecciate a qualsiasi distanza. A. Aspect, A. Zeilinger e J. Clauser hanno vinto il Nobel 2022 per la fisica proprio per i loro esperimenti sui fotoni entangled, sancendo così la correttezza del teorema di Bell ed aprendo la strada all’ impiego ed all’applicazione concreta dell’informazione quantistica.
in matematica
Sul fronte della matematica Kurt Godel nel 1930 dimostrò due famosi teoremi, quello sulla indecidibilità e quello sull’incompletezza secondo i quali, in una teoria matematica soddisfacente a certe condizioni minime, è possibile costruire una proposizione sintatticamente corretta che non può essere né dimostrata né confutata all’interno della teoria stessa.
Per usare le affermazioni di C. Bartocci, docente di fisica e storia della matematica all’università di Genova, nell’ambito della manifestazione ‘Dialoghi matematici’ tenutosi a Roma nel 2018 :«Nell’articolo EPR (1935) gli scienziati si domandano se la descrizione della natura fornita dalla meccanica quantistica, possa considerarsi completa. Questa stessa parola verrà usata da Godel nel suo teorema. La logica dell’aritmetica di Peano non è completa così come la descrizione del nostro mondo fisico. Anche in matematica nei sistemi formali sufficientemente articolati dobbiamo rassegnarci al fatto che possano esistere delle proposizioni cosiddette indefinibili cioè delle quali non possiamo dimostrare né che siano vere né che siano false. Ciò fa a pugni con la nostra convinzione che non ci siano limiti alla potenza argomentativo-dimostrativa del logos. Il mondo che ci circonda è più ricco di quello che le teorie matematiche e fisiche riescono a descrivere. Conseguenza del teorema di Godel sono i risultati di non calcolabilità algoritmica dimostrati da Turing nel 1936. La realtà è più complessa, più articolata, è inafferrabile».
nella cibernetica
L’esigenza di un metodo e di una logica adeguata ad una realtà che si rivelava così complessa venne raccolta dalla cibernetica, che nacque e si sviluppò tra il 1946 e il 1953. Tra i suoi rappresentanti vi furono scienziati del calibro di John von Neumann, Warren McCulloch, Gregory Bateson, Claude Shannon, Norbert Wiener e Alan Turing.
La cibernetica privilegiava una visione prettamente interdisciplinare ed i suoi principi, applicati inizialmente alle macchine, furono applicati anche agli organismi.
L’ipotesi più significativa che venne proposta dalla cibernetica fu che il vivente potrebbe essere considerato come un elaboratore di informazione.
I cibernetici ritenevano che tutti gli elementi della realtà fossero connessi tra loro attraverso la relazione e che questa relazione fra le parti, estranea all’approccio tradizionale della fisica, si concretizzasse in un intreccio di azioni e di retroazioni (feedback) a causalità circolare nei sistemi complessi ed organizzati come gli organismi viventi o le macchine che possono autoregolarsi e sopravvivere nell’ambiente che cambia.
Una retroazione è, infatti, uno scambio di informazione. Ne è un esempio il comportamento di un termostato in cui, al diminuire o all’aumentare della temperatura dell’ambiente, scatta l’inserimento o il disinserimento dell’impianto che produce calore. La temperatura e la sua variabilità, all’interno dei due parametri scelti, sono l’informazione che genera un anello di retroazione sul meccanismo di accensione e spegnimento.
Un altro fondamentale concetto è quello di ‘emergenza’ secondo il quale il tutto è maggiore della somma delle parti. Gli esempi possono essere tantissimi ma è sufficiente considerare un qualsiasi organismo vivente per osservare come l’ insieme, che rappresenta ciò che emerge, non è la semplice sommatoria degli organi che lo compongono.
Sull’onda di queste considerazioni i biologi H. Maturana e F. Varela formularono una loro teoria, la ‘Teoria di Santiago della cognizione’ la cui intuizione centrale consiste nell’identificazione della cognizione con la vita. I due scienziati si erano domandati cosa si può intendere per «vita», cosa fa sì che un organismo venga definito «vivente». Maturana e Varela lo individuarono nella cognizione che, secondo la loro interpretazione, è l’attività dispiegata nei processi di auto-generazione e auto-conservazione delle reti viventi. Nell’ambito di tale teoria coniarono il termine ‘autopoiesi’ per indicare il feedback che si crea nell’accoppiamento strutturale fra l’organismo e l’ambiente da cui emerge appunto la cognizione.
L’autopoiesi descrive un sistema che si ridefinisce dinamicamente e che si auto sostiene. Nell’ interazione tra due sistemi o tra un sistema e l’ambiente che si integrano e si modificano a vicenda, l’identità e l’unicità di ciascuno dei sistemi coinvolti non viene intaccata. Attraverso interazioni ricorrenti i due sistemi accoppiati adattano reciprocamente la propria struttura in un gioco complesso di relazioni, mantengono la propria organizzazione con uno scambio di informazioni reciproco. Vita e Cognizione possono essere definiti così aspetti di un unico processo.
Qualunque sistema che abbia tale caratteristica, infatti, può a tutti gli effetti essere definito vivente.
L’antropologo Gregory Bateson coniò il termine ‘omeostasi’ per indicare la capacità di ogni organismo vivente di mantenersi in un equilibrio dinamico anche al variare delle condizioni esterne grazie ad un meccanismo di autoregolazione.
In ultima analisi, ed alla luce di queste nuove acquisizioni, sembra che si debba rinunciare ad ogni aspirazione verso il raggiungimento di una conoscenza deterministica, oggettiva e definitiva. Tutta la realtà è instabile, sfuggente, indeterminabile, incerta. Il prendere coscienza di ciò può permettere un approccio diverso e nuovo nell’organizzazione e nella gestione della nostra vita, dei rapporti interpersonali, dell’ambiente. La consapevolezza di essere una parte significativa ed interagente di un sistema complesso è importante e suscita un profondo senso di responsabilità nei confronti della natura e dell’umanità. Dobbiamo e possiamo gestire contraddizioni e conflitti nello sforzo di conquistare una verità che si mostra mutevole, attraverso la critica, l’interrogazione ed il dialogo permanenti. Un tale atteggiamento è da considerarsi un compito ed un dovere storico per ciascuno di noi. Il metodo non può più essere di tipo cartesiano, deve costruirsi via via, anche per segmenti programmati, ma sempre con un margine di apertura all’innovazione, all’imprevisto, alla scoperta.
Lo studio e l’applicazione della teoria della complessità si pone perciò come mezzo efficace per consentire all’uomo di privilegiare il concetto di relazione per connettersi l’uno con l’altro e superare le barriere dell’individualismo, di immergersi nella Natura con un nuovo sguardo per poi emergerne migliorato e rigenerato.
FONTE : https://sites.google.com/site/gruppomizar/scienza-e-coscienza/introduzione-alla-teoria-della-complessit%C3%A0