Fino al nulla |
di Massimo Carboni |
Da un lato, il lavoro sul danaro, dunque sul feticismo del Valore: desiderio non della cosa, ma del desiderio stesso. Vertigine dell’astrazione più completa, della virtualità più disincarnata e nello stesso tempo più fattualmente operante che possa darsi. Ed il percorso teorico-concettuale va da Marx a Simmel. Monti prende dunque ad oggetto, concettualmente e materialmente, il danaro: figura dello stesso e insieme dell’altro, vertigine del Valore, mitologia del Mito.
Ma quali sono gli elementi messi in gioco?
<<Il valore di scambio della merce, in quanto esistenza particolare accanto alla merce stessa>>, scrive Marx nei Grundrisse, <<è denaro; è la forma in cui tutte le merci si equivalgono, si confrontano, si misurano; è ciò in cui tutte le merci si dissolvono, ciò che si dissolve in tutte le merci>>. Il lavoro di Paolo Monti sembra essere allo stesso tempo la parafrasi ed il rovesciamento letterali della tesi marxiana. Il denaro non è infatti assunto come forma o mezzo e quindi come equivalente generale, ma come materia sottoposta ad un processo di deperibilità: si dissolve non nella merce, ma in se stesso. Il segno astratto regredisce a dato concreto, fisico, a presenza (temporanea). Il denaro non è per sua natura una merce dotata di valore intrinseco, la sua qualità consiste esclusivamente nella sua quantità. Monti materializza il valore astratto, il fantasma; rovescia il processo che porta all’esclusione della merce assunta come danaro e quindi al costituirsi dell’equivalente generale, riconducendolo alla sua condizione iniziale di materia-oggetto con un suo estremo, residuo valore d’uso. In un tempo x, la banconota aggredita dagli acidi si dissolverà, non ne resterà più alcuna traccia. “Il tempo è danaro”, si dice. Qui è il danaro che è tempo. Fino alla totale entropia, fino al consumo finale, fino al nulla.
Nel lavoro di Paolo Monti certamente si dà, si offre, il “meraviglioso”, il thaumazein (iper) tecnologico: a vari livelli di potenza e di seduzione, ma indubitabilmente si dà. Il fatto è che i processi tecnologici (su base fisica o chimica) sono semplicemente mostrati, senza nessuna elaborazione particolarmente intrusiva da parte dell’artista. Monti non è alla ricerca del lato “immaginativo”, “estetico” della Tecnica; non v’è in lui alcuna patetica pretesa ideologica di “riscattare” umanisticamente la Tecnica fornendole “poesia” o “creatività”. Qui la tecnologia è utilizzata in modo che essa produca autonomamente, spontaneamente il proprio thaumazein. Ma perch?ciò accada, bisogna -con memoria duchampiana- “metterla in posizione”. E questo solo un artista può farlo.
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Estratto da: “ Fino al nulla ” di Massimo Carboni, in Paolo Monti ( Musis, 1998),
presente nella raccolta di testi prodotti per la personale di Paolo Monti,
Vierdimensional², Konstanz (D), 2001.
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Ascolta l’audio del intervento di Massimo Carboni all’convegno – Infra-TazebAu s’pace 2011, Paolo Monti + Gauss – “Partenza bruciante. L’arte infravista dall’alto”.