domenica, Dicembre 22, 2024
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Telescopio spaziale James Webb

di (Piero Musilli, 2-2-2022)

Il “James Webb Space Telescope”  o JWST è un telescopio spaziale che effettuerà osservazioni astronomiche nel medio e vicino infrarosso, il cui specchio principale ha un diametro di 6,5 metri. Questo innovativo strumento è stato lanciato in orbita il 25-12-2021, da un razzo Ariane 5, dallo spazioporto di Kourou, nella Guiana Francese.

Il JWST, assieme allo “Space Shuttle”, alla Stazione Spaziale Internazionale e all’acceleratore di particelle LHC del CERN, è una delle macchine più complesse mai costruite dall’uomo. E’ inoltre lo strumento più costoso nella “storia dello spazio” con un costo di oltre 10 miliardi di dollari. Infine, per posizionarlo in orbita si registra un altro record: è la procedura più complicata mai portata a compimento nello spazio.

Le operazioni di raccolta ed elaborazione dei dati del JWST saranno gestite dallo Space Telescope Science Institute (STScI). Il telescopio è stato realizzato grazie alla collaborazione internazionale tra l’Agenzia spaziale statunitense (NASA), l’Agenzia spaziale europea (ESA) e l’Agenzia spaziale canadese (CSA). I suoi principali partner industriali privati sono stati Northrop Grumman e Orbital ATK, questi ultimi per lo scudo termico. Si ricorda inoltre che alcuni elementi del JWST sono stati costruiti dalla società italiana Leonardo.

A differenza dell’Hubble Space Telescope (in orbita dal 1990) che si trova su un‘orbita terrestre bassa (apogeo: 543,7 km e perigeo: 539,8 km), il telescopio JWST, non potrà quasi sicuramente ricevere assistenza e/o missioni di servizio di ogni tipo dalla Terra, perché si trova a 1,5 milioni di chilometri dalla Terra nel punto di Lagrange L2. Quindi il JWST potrà essere operativo nello spazio per (si spera) circa 10 anni fino a quando i suoi motori non esauriranno il carburante, motori che ogni tanto dovranno correggerne l’orbita, seppur la durata della sua missione è stabilita per meno anni.   

L’orbita del punto L2 di Lagrange che è stata già utilizzata per le missioni WMAP, Herschel e Planck, manterrà il telescopio JWST allineato con l’orbita terrestre e questo allineamento dovrà consentire allo scudo del telescopio di proteggere – aspetto, questo,  importantissimo perché lo strumento lavorerà specialmente nell’astronomia dell’infrarosso – il medesimo dalla luce e dal calore di Sole, Terra e Luna, nonché dalle interferenze delle piccole sorgenti di calore provenienti dalla struttura e dalla strumentazione dello stesso telescopio.

Il JWST possiede importanti e complesse tecnologie innovative quali, ad esempio, il suo specchio primario del diametro complessivo di 6,5 metri (il Telescopio Spaziale Hubble ha invece uno specchio di “soli” 2,4 metri), con un’area di raccolta di 25,4 mq (6 volte l’HST) e costituito da 18 specchi esagonali in berillio ultraleggero e dotato di una schermatura romboidale a cinque strati leggermente separati in un materiale plastico, il Kapton, il quale come ad esempio un parasole attenua il calore e fornisce stabilità alle rimarchevoli escursioni termiche a cui gli strumenti del telescopio saranno sottoposti. Gli specchi sono anche dotati dei cosiddetti Attuatori che permettono correzioni con la incredibile precisione sino a 1/10.000 dello spessore di un capello umano.  La lunghezza focale effettiva di JWST è pari a 131,4 metri.

I componenti elettronici (ISIM – Integrated Science Instrument Module) di JWST, elaborando la banda dell’infrarosso, devono operare a bassissima temperatura, la quale è mantenuta da un impianto criogenico sotto i 50 K (−223,2 °C; −369,7 °F). Infatti il JWST è dotato di un cryocooler  per il raffreddamento (7 gradi kelvin) dei rilevatori nel medio infrarosso e di micro-otturatori innovativi i quali, come minuscole finestrelle che si aprono e chiudono, consentono di selezionare determinati spettri di luce durante la simultanea di una osservazione, permettendo di analizzare sino a 100 oggetti di spazio profondo contemporaneamente con un’ampiezza visuale di 3,2 × 3,3 minuti d’arco.

L’altissima sensibilità della complessa strumentazione del JWST ci consentirà di esaminare le deboli e remote prime stelle e galassie che popolavano l’universo oltre 13 miliardi di anni fa. Come già accennato il telescopio osserverà l’universo principalmente attraverso la banda infrarossa dello spettro elettromagnetico e ciò consentirà quindi di osservare all’interno delle nubi di gas e polveri, moltissimi esopianeti (anche quelli in formazione) della nostra galassia, il primo dei quali venne scoperto nel lontano 1995. Attraverso uno strumento chiamato coronografo si può infatti bloccare la luce delle “stelle madri” dei pianeti e “guardare” attraverso le  atmosfere aliene dei medesimi, determinarne la composizione, studiarne la loro evoluzione passata, eccetera.

L’Osservatorio del JWST, che (che comprende anche i sistemi a terra) si compone di:

  1. La Strumentazione scientifica integrata (ISIM, integrated Science Instrument Module) costituita da quattro strumenti:
    1. MIRI (Mid-Infrared Instrument)
    1. NIRSpec (Near-Infrared Spectrograph)
    1. NIRCam (Near-Infrared Camera)
    1. Fine Guidance Sensor / Near InfraRed Imager e slitless Spectrograph (FGS/NIRISS)
  • Il Sistema navicella, che comprende la navicella (Spacecraft Bus) e lo schermo solare (Sunshield); la navicella assicura le funzioni di supporto per il funzionamento dell’osservatorio e integra i principali sottosistemi necessari al funzionamento del telescopio.

Concludendo, ecco un breve abstract tratto dall’intervista, presente nel sito web wired.it, circa l’importanza della missione di JWST, a Patrizia Caraveo, dirigente di ricerca all’Istituto nazionale di astrofisica (l’Inaf), impiegata all’Istituto di astrofisica spaziale e fisica cosmica di Milano, premio “Enrico Fermi” 2021 e testimone della nascita del progetto JWST, in cui fu coinvolta per conto dell’Esa.

Dottoressa Caraveo, James Webb Space Telescope aumenterà di oltre un fattore mille il numero delle galassie osservabili nel primo miliardo di anni di vita dell’Universo; quale attesa c’è, nella comunità scientifica, per i dati che spedirà a Terra?

“Con il suo specchio di 6,5 metri di diametro, tenuto perennemente in ombra, e un piano focale raffreddato a temperature bassissime, Jwst sarà in grado di osservare nell’infrarosso vicino e lontano permettendoci di vedere i primi oggetti che si sono formati nell’Universo.

Conquistare l’infrarosso è una dura battaglia, ma è un passo fondamentale perché l’espansione dell’Universo, oltre ad “allungare” lo spazio, allunga la lunghezza d’onda della radiazione emessa dalle stelle e dalle galassie facendola scivolare dal visibile, dove naturalmente emettono le stelle, nell’infrarosso, una lunghezza d’onda più lunga del rosso, alla quale né i nostri occhi né i telescopi ottici (come Hubble, ndr) sono sensibili. Il processo di arrossamento, che gli astronomi chiamano redshift, è tanto maggiore quando più guardiamo indietro nel tempo, quando l’Universo aveva dimensioni molto più piccole di quello attuale. Nelle immagini più profonde del telescopio Hubble (il famoso Hubble Deep Field) si intravedono piccole macchie rossastre che pensiamo essere dovute alle prime galassie formatesi nell’Universo. Hubble, però, si ferma al rosso mentre Jwst le potrà osservare in infrarosso e sarà in grado di vederle meglio e in numero molto maggiore. Mappare, quindi poter studiare, e come auspicabile capire, come si sono formate le prime strutture dell’Universo, qualche centinaio di milioni di anni dopo il big bang, è un sogno che i cosmologi inseguono da decenni”.

Perché è importante studiare le prime le prime galassie e capire come si siano evolute?

“Perché ci sono ancora molti punti irrisolti. Sappiamo che nel centro di tutte le galassie risiede un buco nero supermassivo (intendo milioni, o perfino miliardi di masse solari), ma non abbiamo ancora capito come si formi. In altre parole, è nato prima il buco nero o la galassia?

Forse i buchi neri sono stati prodotti dal collasso di stelle supermassive formatesi all’inizio dell’Universo, oppure sono stati prodotti direttamente durante il big bang? Pensiamo poi siano cresciuti nel centro delle galassie inglobando materia, ma ancora non abbiamo prove. Contiamo su James Webb Space Telescope per chiarirci le idee e speriamo ci permetta di vedere anche le esplosioni delle prime stelle, che erano certamente diverse da quelle che studiamo nella nostra galassia per l’ottimo motivo che erano fatte solo di idrogeno, l’unico elemento disponibile. Le prime stelle devono essere stati rappresentanti della categoria fast and furious. Le stelle massive bruciamo rapidamente il loro carburante e vivono per tempi molto più brevi delle stelle normali come il Sole”.

Il telescopio potrà fornire informazioni anche sull’eventuale formazione di vita extraterrestre nella nostra galassia?

“L’infrarosso è una lunghezza d’onda ideale per studiare gli esopianeti. Non si tratta di vederli direttamente, ma di studiare come la luce della stella venga alterata quando il pianeta le transita davanti. In questo modo Jwst potrà indagare la composizione dell’eventuale atmosfera di pianeti interessanti, perché hanno dimensioni simili alla Terra e orbitano a una distanza tale da ricevere abbastanza energia per avere acqua liquida sulla superficie. Noi veniamo dall’acqua e quindi siamo convinti che la vita abbia bisogno di acqua. Quello che si cerca sono le biosignatures, cioè le firme delle molecole prodotte dal metabolismo degli esseri viventi. Sulla Terra sono ossigeno, ozono e metano, dei buoni punti di partenza.  Glia astronomi hanno compilato una lista di 65 pianeti interessanti e contano di imparare strada facendo. Nessuno ha una ricetta preconfezionata”.

Ci sono voluto vent’anni per realizzare l’osservatorio. Perché?

“Perché si tratta di un progetto ambizioso e difficile, che fa cose che non sono mai state fatte prima nello spazio. John Mather, premio Nobel per la fisica, ha detto che è stato necessario inventare dieci nuove tecnologie e ognuna di queste ha posto problemi imprevisti”. 

Tornando ai costi, James Webb Space Telescope è la singola struttura spaziale esclusivamente scientifica più costosa mai costruita: fra i 10 e i 12 miliardi di dollari. Che cosa risponde a chi, scettico, lamenta un prezzo così importante?

“Sono certa che le tecnologie sviluppate per realizzare Jwst saranno utili in altri settori, ai quali magari non si era pensato. La tecnologia degli specchi a incidenza radente, che è stata sviluppata per le grandi missioni di astronomia X, adesso è utilizzata per stampare chip ultra compatti e ultra performanti. Quando Riccardo Giacconi, premio Nobel per la fisica nel 2002, progettò il primo specchio capace di focalizzare i raggi X non pensava certo ai chip dell’elettronica. 

Oltre all’utilità, sulla quale non ho dubbi, c’è l’avanzamento della conoscenza. Chi non si pone domande sull’origine dell’Universo, oppure sulla possibilità che pianeti extrasolari simili alla Terra possano ospitare la vita? Ne sono sicura: James Webb darà delle risposte”.   

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