domenica, Maggio 5, 2024
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Gödel, Escher, Bach: un’Eterna Ghirlanda Brillante

Una fuga metaforica su menti e macchine nello spirito di Lewis Carroll

Certi libri hanno un valore di soglia: dopo che sono apparsi, molte cose ci si rivelano in prospettiva, e retrospettivamente, diverse.

Quando Gödel, Escher, Bach venne pubblicato in America, nel 1979, si presentava come un oggetto irto di stranezze e difficoltà, a cominciare dal titolo.

Entro pochi mesi, alcune centinaia di migliaia di copie erano state vendute e il libro appariva esattamente come l’opposto: un libro chiarificatore, capace di illuminare in tutte le sue connessioni un immenso groviglio di temi che ci accompagnava, ci ossessionava da tempo e ora affiorava nella sua interezza davanti ai nostri occhi, come un’isola corallina.

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Quel groviglio è l’oggetto di studio per una disciplina che affascina tutti e che nessuno osa definire: l’intelligenza artificiale.

La gente del mestiere per lo più conviene che la migliore definizione dell’intelligenza artificiale sia quella data da Tesler: «L’intelligenza artificiale è tutto quello che ancora non è stato fatto».

In breve: tutto ciò che le macchine hanno imparato a fare, e che (prima che lo facessero) era ritenuto segno di comportamento intelligente, non viene ritenuto più tale una volta che le macchine lo fanno.

La vera essenza dell’intelligenza sembra essere così, per definizione, sempre un passo più in là. E ormai quel passo più in là ha condotto i teorici dell’intelligenza artificiale ad aggirarsi fra le più antiche questioni metafisiche, che si presentano in fogge e maniere sconcertanti, come i personaggi che Alice incontra nel mondo di là dallo specchio.

Una prima, preziosa mappa di quel mondo ci è offerta appunto da quel «labirinto armonico» che è Gödel, Escher, Bach.


Gödel, Escher, Bach: un grande logico, un grande pittore, un grande musicista. Che cosa lega questi nomi, a parte la gloria? Uno Strano Anello. E che cos’è uno Strano Anello? Ci suggerisce Hofstadter: «Il fenomeno dello ‘Strano Anello’ consiste nel fatto di ritrovarsi inaspettatamente, salendo o scendendo lungo i gradini di qualche sistema gerarchico, al punto di partenza». Salire una scala e ritrovarsi ai piedi della scala.

È un fenomeno che Escher ha disegnato, che Bach ha messo in musica, che Gödel ha posto al centro del suo teorema. Ma che importanza ha questo fenomeno, con quel lieve senso di vertigine, di invincibile sconcerto che lo accompagna? È un fenomeno che si presenta quando un sistema parla di se stesso.

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Ma è facile accorgersi che le cose che un sistema ha da dire su se stesso sono proprio le cose essenziali, quelle da cui le altre dipendono. E proprio quelle sono le cose che vengono strette nello Strano Anello e non riescono a evaderne: condannate a una perenne vertigine, come quella che danno due specchi che si riflettono.

Il teorema di Gödel implica anche questo: che quella vertigine non potrà mai essere superata. Questo è in certo modo il cuore dell’intelligenza artificiale, ma anche il cuore di imprese disparate del pensiero che, dalla teoria degli insiemi di Cantor alla decifrazione del codice genetico, dalle macchine di Turing alle «frames» di Minsky, hanno osato metter piede, non per intuizione ma per via algoritmica, cioè costruendo procedure precisate passo per passo, nel Regno dell’Autoreferenza.

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Questo libro sugli Strani Anelli, che attraversa calcolatori, formicai, paradossi, neuroni, sistemi formali, forme musicali, grammatiche, ribosomi, cervelli, codici, koan, è esso stesso uno Strano Anello, una «fuga metaforica su menti e macchine nello spirito di Lewis Carroll».

E questo non certo per abbellire letterariamente l’«arido vero» della scienza, ma perché qui si mostra come una forma letteraria possa avere conseguenze su un’argomentazione scientifica, e come una argomentazione scientifica possa sostenere occultamente una forma letteraria. Giustamente Martin Gardner ha scritto che «la struttura di questo libro è satura di complicato contrappunto non meno di una composizione di Bach o dell’Ulisse di Joyce».

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